Lettera dalla coordinatrice

Mi intrometto in punta di piedi nel blog delle “mie ragazze”, che hanno saputo trattare argomenti molto interessanti e difficili con competenza e semplicità allo stesso tempo, aprendoci la porta e mostrandoci la loro bellissima esperienza di volontarie europee a Viterbo.

Questo blog credo sia non solo un ottimo mezzo di promozione dello sve (servizio volontario europeo) ma anche una sorta di info-kit preparatorio per chi si accinge ad affrontare una qualsiasi nuova esperienza, un viaggio, un nuovo lavoro, una nuova vita. Perché dentro c’è tutto quello che bisogna sapere per prepararsi ad un cambiamento: la paura di iniziare un nuovo cammino, il timore di non essere all’altezza ma allo stesso tempo la voglia di mettersi in gioco, il brivido della sfida e lo spirito di avventura, l’emozione di fare per la prima volta qualcosa di nuovo.

E’ stato bello seguirvi da lontano nell’affrontare questo anno, vedervi cambiare, prendere consapevolezza, crescere. Arrabbiate quando qualcosa non andava, rassegnate per l’ennesimo bus che non passava, meravigliate dalla bellezza del nostro paese che ci avete fatto riscoprire attraverso i vostri post su instagram.

Palestina, Georgia, Ucraina, Portogallo, Germania e Ungheria, 6 giovani così diverse tra di loro per religione, cultura, esperienze personali hanno vissuto e lavorato insieme, svolgendo attività di volontariato in favore di persone con disabilità. Mi piacerebbe che chiunque potesse sperimentare la profonda apertura che ci avete trasmesso in questo anno. In questo momento buio per il nostro paese, in cui si alzano muri, si chiudono i porti e le menti, siete la dimostrazione vivente che sì, è possibile coesistere, comunicare meglio, comprendere meglio l’altro e riconoscerlo come essere umano.

Il mio breve post è per dirvi grazie, nella speranza che questo blog continui ad essere il luogo in cui vorrete esprimervi sempre, così potremo leggere ancora i racconti di voi e delle vostre vite.

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Ho scelto la prima foto che abbiamo fatto tutti insieme al vostro arrivo, vi auguro una buona vita, siate sempre il cambiamento che volete vedere nel mondo, portatelo nelle vostre case, nei vostri paesi e siate orgogliose di quello che avete imparato e che ci avete insegnato in questo anno.

Cinzia

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Scusa, non capisco

It’s another gloomy and rainy day and I am once again thinking about the challenges I have come across during my year here in Italy. Expected challenges such as unexpected ones. Since this is the last month of my European Voluntary Service I would like to reflect on the last eleven months of my life.

This is me
This is me

A challenge I prepared for has been the Italian language. Not that I have mastered the grammar, sayings and local dialects but now I can at least express my opinion and feelings on a basic level. Everyday communication with friends, clients, co-workers and especially strangers has gotten increasingly easier. Although I still struggle with nervousness when it’s my time to speak up. This self-consciousness is not only language related, however still limiting my contribution to any conversation. Anyway my problem with social encounters is not to be the topic of this article.

A few months ago I gave this limitation a name: language barriers. Excited to finally fully experience a term, my English class in school and me discussed about thoroughly, I often struggled with sentiments of loneliness. Furthermore, I felt being treated unfairly such as anger at my poor learning-progress. Of course I was not the only one who encountered communication problems because they did not or only poorly speak the language. However, after I tried to get rid of my worry of not being able to understand any Italian person any time soon on my own, I opened up and shared my feelings. The response was understanding and some helpful advice I would like to share today.

Here are some tips and tricks that helped me conquering the challenge of learning a new language.

Tip #1

To start communication there is no need for many words. Start to learn how to ask questions. By asking questions you overcome the fear of saying anything at all.
Begin with questions like: “What is this thing called?”, “How can I say [insert word/phrase] in [insert language]?” and “Can you please repeat?”.
Step by step you will learn more and more words that you can use in your everyday life. For example, to form new and more complex questions. Don’t be afraid to say something wrongly. Which brings me to the second advice.

Tip #2

Encourage people to correct you, when making mistakes. Especially when talking to a native. In this way you will learn the correct way of saying something. Even quicker than realizing you have been telling everyone: “I’ve just cut my hat!” instead of “I’ve just cut my hair!”.
Most of the time people won’t correct you, for whatever reason, so animate them to do so!

Tip #3

Use every source of media to get a feeling of the language. By “feeling of the language” I mean the rhythm, pronunciation, different meaning of a word depending on the context and of course new vocabulary. Your resources could be the radio, newspapers, books, movies, songs as well as YouTube.
Even only listening to natives while sitting in a café and understanding half what they say, you still see their body language and facial expression which play a crucial part in learning and using a language.

Tip #4

Relax! As far as I heard, no matter how many languages you have already learnt, the beginning of the process is always frustrating and it feels like you are not improving fast enough. Nevertheless, you can trust on determination, consistency and therefore time and yourself to overcome this language barrier.
Learning a language in this context of living abroad and being forced to communicate in [insert language] is an experience that will have a definite impact on your character and self-trust.

Lina socializing
This is me socialising

To conclude my thoughts and advice on learning a language while living in the country it is spoken, I would like to say that despite all the bad feelings, I truly enjoy it. After a while you understand more and more and are increasingly able to express yourself. This will help you feel less trapped in not being understood by anyone. My father always says that you have truly internalized a language when you can reply to sarcasm in the given language. A general understanding of sarcasm is nonetheless required.

 

Written by 
Lina
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“Tirare fuori e non mettere dentro”

Mafalda, il mentore

Persone venute da lontano, persone arrivate lontano. Ungheresi, italiani, stranieri. Le loro storie scendono dolcemente, goccia a goccia. Guardate i  cerchi sull’acqua che creano! Di seguito, vi presenterò i personaggi più importanti del mio progetto di volontariato. Prima di tutto, una ragazza italiana che oltre ad essere il mentore per me e gli altri volontari, è un’ispirazione e una buona amica. In lei si trova creatività senza limiti, empatia, iniziativa, cuore e spirito.

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Ci siamo conosciuti a giugno 2015 – su Internet. La sua foto la mostrava con faccia dipinta, colorata. In quanto fan delle belle arti, mi sembrava un’ “anima gemella”. Così ho deciso di scriverle un’e-mail, sconosciuta: “Secondo te il corso che organizzate andrebbe bene per me? Sono una giornalista, vorrei tornare in Italia e non ho idea di come procedere dopo la mia laurea. La mia motivazione è adeguata?” E mi ha risposto gentilmente: “Iscriviti!”

La prossima scena, gennaio 2016. Mangiavamo pizza accanto ad una fontana a Roma, questa volta incontrandoci personalmente. Parlavamo dell’impatto del corso estivo e poi è emerso che ci sarebbe potuta essere una continuazione, una collaborazione a lungo termine. Si cercavano volontari stranieri per un programma annuale coordinato dalla loro organizzazione. Di nuovo, mi ha detto: “Iscriviti!”

Passavano i mesi, e io facevo a Budapest cose simili a quelle che lei faceva in Italia. Ho coordinato programmi per giovani stranieri e ho scritto articoli. Poi ho partecipato ad un altro training a gennaio 2017. Lei era  formatrice, io ero partecipante. Ci siamo fatte l’occhiolino. Per la prima volta abbiamo parlato del programma di volontariato per cui avevo fatto domanda l’anno prima e che è stato approvato. Ho annuito quando mi hanno chiesto se sapevo chi sarebbe stato il mio mentore: “Non solo lo sarà in futuro, lei lo è già.”

È arrivata la fine di giugno 2017. Ci sedemmo sulle scale di una piazza medievale. La notte è arrivata. Qualche ora prima ero scesa dal treno. Lei mi è venuta a prendere alla stazione e mi ha accompagnata con la macchina al nostro alloggio. “Ti aiuterò a comprare la carta SIM, aprire il conto in banca, e ti mostrerò la città. Andiamo!”

Poi un salto nel tempo: prendiamo una tazza di tè da lei a dicembre 2017. Parlo della mia attuale vita da volontaria e condivido la mia ultima idea. “Voglio fare mini interviste con le persone più importanti della mia vita qui. Sarei contenta se tu fossi la prima. Puoi raccontarmi chi è Mafalda in questo momento? ”

Una persona alla ricerca di un equilibrio – ha cominciato con una bella melodia di lingua, in italiano. – Sento di aver fatto molti percorsi importanti, ho imparato tanto, ma quest’anno é stato molto difficile. Succede in questo tipo di lavoro se non ti prendi cura di te; perdi la motivazione. E questo è un lavoro che se non stai bene con te stesso, non puoi fare. Perché se uno non si trova in una buona condizione, si può finire anche per fare potenzialmente male agli altri, perché è un lavoro in cui bisogna darsi molto, bisogna ascoltare. Proprio per uscire da questo periodo un po’ buio, ho cercato di sperimentare e portare nel mio lavoro sempre di più tutte le cose che mi fanno stare bene tutti giorni. Inoltre, quello che mi è venuto di scrivere per una breve presentazione di me, per un infopack: “I’m a compulsive doodler, impro actress and wannabe singer, that tries to support people in finding a way how to express themselves, their unicity and the things that make them be them, so their stories.” Ed é quello che mi piace del concetto di educazione: tirare fuori e non mettere dentro.

– Come puoi descrivere il tuo lavoro?

Il mio lavoro per l’Italia non esiste nel senso che effettivamente non è riconosciuto. Quello che faccio io sono attività di formazione, facilitazione per giovani ed adulti, diversi tipi di gruppi e background. Sono specializzata in formazione per educatori, quindi principalmente lavoro o con gruppi di giovani o con gruppi di educatori, insegnanti, operatori, nel campo dell’educazione non formale. Cerco di creare degli scambi dove le persone possono imparare attraverso un rapporto alla pari, sopratutto attraverso un approccio esperienziale,  quindi molto basato sul fare, riflettere su quello che si è fatto, e scambiarsi e confrontarsi con gli altri. Principalmente lavoro sui temi della comunicazione, dello sviluppo personale, mi piace appunto portare  tutte quelle metodologie creative, artistiche che fanno parte nel mio background personale, dal teatro alla scrittura, il disegno, il canto, ultimamente tanto il gioco. Anche ho un forte background in gestione di gruppi interculturali dove la diversità è molto forte, dove le persone tra l’altro usano spesso una lingua veicolativa che spesso è l’inglese. Quindi di conseguenza, in realtà per me è anche abbastanza strano lavorare in italiano, comunque con gruppi che appartengono allo stesso gruppo linguistico, allo stesso background, perché sono abituata a molta varietà con i gruppi con cui lavoro.

– Chi è una ispirazione per te?

Non parlerò del presidente della nostra organizzazione perché sarebbe banale, ma per me la figura del mentore si chiama Katrin. Lei è una formatrice austriaca che ho conosciuto ormai quasi 7 anni fa. L’ho sempre vista come una donna incredibilmente forte ma vulnerabile. Per me lei è stata un modello assoluto. La dolcezza e allo stesso tempo la competenza che lei porta ai gruppi, il modo in cui si apre, tiene lo spazio e ti consente di aprirti, mi sempre ha affascinata. È una donna coraggiosissima, con una grandissima intelligenza.

– Come dovrebbe essere il personaggio di mentore, secondo te, in generale?

Idealmente è una persona che è lì per offrirti un orecchio a cui poter parlare, aiutarti a rilevare elementi della tua storia, del tuo processo e aiutarti ad unire i puntini. Ognuno sceglie che cosa vuole condividere con il proprio mentore. Magari ti aiuta nel farti le domande giuste ma ovviamente le risposte le devi trovare tu. Però è un processo di iniziazione, un processo d’autovalutazione che secondo me è molto importante sopratutto al livello di appprendimento.

Dopo la intervista, nel frattempo, siamo entrati nell’anno nuovo. Lei è a Roma, io sono a Viterbo. Siamo venute da lontano, siamo arrivate a lontano. E ancora siamo per strada.

Lilla Gősi
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Non solo cucina

Diana
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Nella mia esperienza SVE (Servizio Volontario Europeo) tra tante attività ho avuto la possibilità di lavorare nel laboratorio di cucina

… come vedete nel VIDEO.

L’attività del Centro consiste nell’imparare a comprare e preparare in modo autonomo  tutto quello che serve per il pranzo per tutte le persone presenti.  Devo dire che la cultura italiana è impregnata della tradizione culinaria e qualche volta mi sembra che il tempo trascorso durante il pranzo sia considerato “santo”. È l’opportunità per tutti per parlare e condividere.

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Ma questa attività ha un senso più profondo e non è “solo cucina”, perché ha anche forte capacità di sviluppo a livello psicologico. Allora, proviamo capire perché il laboratorio di cucina è importante per lo sviluppo dell’aspetto cognitivo di una persona. Prima di tutto dobbiamo conoscere quali sono i processi cognitivi, che sono: la percezione, la memoria, il pensiero ed il linguaggio. Soffermiamoci gradualmente su ciascuno di essi:

  1. La percezione: acquisizione sensoriale dell’interazione tra le persone ed oggetti di diversi materiali, temperature, superfici, colori.
  2. La memoria: sviluppo della memoria visuale, auditiva e operativa tra il ricordo dei piatti che ci sono stati preparati in precedenza, il loro nome, le fasi della loro preparazione.
  3. Il pensiero: sviluppo dei lobi frontali della corteccia cerebrale attraverso l’utilizzo dei piani con le fasi dell’elaborazione per la cottura dei cibi (in immagini o scritte). Si forma anche il concetto delle diverse fasi del processo e delle categorie (verdure, frutte, stoviglie ecc.). Si crea così la visione integrale del processo che è portato alla conclusione.
  4. Il linguaggio e la comunicazione: le attività si realizzano in gruppo, di solito nel laboratorio partecipano da 3 a 6 persone che devono mettersi d’accordo per arrivare ad uno scopo comune (preparare il pranzo). Questo facilita il mantenimento delle funzioni del lobo temporale sinistro della corteccia cerebrale.
  5. Sviluppo dell’emisfero destro della corteccia cerebrale :
  • I concetti matematici tra il calcolo dei prodotti e la quantità che serve, il numero di persone che saranno a pranzo, la quantità delle porzioni fino ad apparecchiare la tavola e contare le stoviglie.
  • I concetti temporanei. Il lavoro con l’orologio nel tempo della cottura per capire quanto tempo ci vuole per cucinare un preciso ingrediente oppure un cibo in relazione all’orario del pranzo.

E tra l’altro…..

  1. L’abilità manipolativa. Il laboratorio di cucina è pieno di attività motorie che servono per sviluppare la micro-motricità: tagliare, lavare, pizzicare, mescolare, triturare ecc.

Ed infine…

Così vediamo che il laboratorio di cucina offre un ampio campo per lo sviluppo e la correzione delle funzioni psichiche. Inoltre cucinare è un’ottima motivazione per tutti perché come dicono nel mio paese “chi non lavora, non mangia”.

(L’articolo, la foto e il video sono stati fatti da Diana Gomez.)

 

How to keep the fire

Lilla
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After years of constant moving, finally, I could stop in Italy. Before, I had been changing place, country, apartment, role, profession, language. Attempting to recreate the bondless happiness of half year Erasmus in Firenze, my first definitive foreign adventure in 2012. Since then, only five years passed, but I feel like a marathon-runner, who has discovered precious pieces of her puzzle wherever she went.

I remember:

  • the colourful bungalows of Whitstable, crispy seaside walks and biking, eternal green fields, white cliffs, the ample, majestic Canterbury Cathedral, my cat-ladys and all the supportive, nice people who were keeping me in line on my lonely hero’s journey, studying in England (… and last but not least, I remember the shortly deceased master chéf, RIP, Antonio Carluccio with whom I had a super short interview; his simple humbleness was a big honour and a real wow – as he said, the secret of good food and good life is using maximum 3-4 strong but likewise good ingredients);
  • museuming, “flâneuring” and immersing ourselves in arts in that Parisian spring with my group of inspiring, international friends (… and of course, how could I forget our Hungarian-vegetarian-philosophical community and the first steps towards a sustainable  household? );
  • trying to slow down and BUILD (numerous things, in so many areas, with the hope to improve and open up the world) in Hungary, while exploring more my motherland; commuting, hiking, volunteering, training, writing.dsc_0745

Since I was getting paid for working as a journalist and coordinating youth voluntary projects (asking, listening to and sharing amazing stories of amazing people), after a while, I got tired of  walking in my challenge zone and fighting. Because a lot of  times, I faced barriers difficult to overcome and tackle.

So the main reason behind my decision to apply for the EVS was to change perpectives, and share stories as a volunteer who lives, works, writes in Italy. (In most cases, about Italy, and till now, in most cases, to Hungarian readers in my weekly blog.)

Moving  worked out well for me. I am happy. And I believe, it is because you cannot feed a fire solely with fire itself. And so, if I were fire, this storyful reality would be my wood and air: the lands, the people, the work and the fact that in this EVS project I can not only collect stories, but experience, try, do and live through them! For instance, I will never forget the day when we started harvesting olives in the farm with locals. Hard to express how much I enjoyed every step. Likewise, our everyday activities make me glad: learning the language, personal and collective stories, about the past, regional history, good practices etc.

3_El kell érni, hogy leessenek a bogyók

Back to track, in a nutshell, I was coming to this EVS in Italy hoping (that can seem a childish wish at first glance, but after all, that is really how it happened!) to find my heart, be able to balance, and keep the fire. Because, during this previous, intense, shifting period of my life, more or less, I had always found motivation, work, objectives, place to live, people caring about me and people about whom I cared. However, that little pulsing organ deep down, in the hustle and bustle, came too close to stop, and not to give a curious leap, not even hearing another new story again.  And for a storyteller, this is definitely not a good sign.

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Till now, life proves me. My EVS project has given to me more positive things than I could ever dream about.  I am surrounded with great people who would catch me if I happen to fall. I learn something exciting and new every day. And important,  I found my heart. Or probably my heart has found me. We may never know the truth. But that is already another chapter of the story.